domenica, ottobre 18, 2009

Roma, città eterna?


Ospite della Prenestina per cercare casa, Porta Portese sotto mano e finalmente un annuncio buono. Carlo Felice con i suoi giardini, Santa Croce in Gerusalemme con un piccolo market Margherita e un autobus sempre in ritardo per Piazza Venezia scapicollata di onorevoli e auto blu. Corso Vittorio Emanuele e Piazza del Gesù con Venditti seduto al bar e le tante Hosteria fra il Pantheon e Largo di Torre Argentina.
Il gusto delle fraschette fra Albano, Ariccia e Marino con lancio di uva e vino limpido uscito da fontane e bottoglie di plastica, la filo-diffusione per l’intero borgo, assordante e cafona. Le danze, la banda e la carne secca venduta dagli ambulanti: le coppiette.
La scoperta di Calcata e degli hippy diventati piccoli commercianti di artigianato, la campagna romana e quegli alberi alti con le chiome a forma di nuvola, il rientro in città, il miglior Kebab
e il barcone sul Tevere, Campo de’ Fiori con la focaccia bianca piena di mortadella viva e troppi turisti a bere a ridosso di Giordano Bruno. Piramide e Testaccio con spacciatori, parcheggiatori e meridionali rissosi. La firma della costituzione europea, il Qoob senza Mucca Assassina e il Dome, le bancarelle di Natale in piazza Navona, le passeggiate oltre i ponti e in piazza San Pietro, il Vaticano sbirciato dalla toppa del Giardino degli Aranci con due gendarmi pronti ad impedire il tuffo nella luce della cupola. Via dei Condotti e Via Frattina verso Piazza di Spagna e l’apertura su Trinità dei Monti, la discesa dal Pincio e la bellezza del paesaggio, il rifiuto delle rose.
Salire al Campidoglio e contemplare le statue, i Fori, la grandezza dell’uomo nella storia. Un concreto organizzato da MTV al Colosseo, i Cure e la metro rossa che incrocia la blu a Temini. Via Nazionale con i suoi tunnel e i semafori da evitare, il ritorno a notte fonda da Piazza del Popolo a Porta San Giovanni, i sanpietrini duri sotto il passo veloce della folla.
Il Mosè in via Cavour, le terme, Piazza Trilussa e il Pub Trilussa, la Menabrea e il tabacco umido, le ultime cabine telefoniche, piccole utilitarie sporche e auto d’epoca, un posacenere di cocco e le sorchette per la chimica nottura.
Lo Zip e il vino sempre a tracolla verso Piazza Re di Roma, l’erba bagnata di Circo Massimo e la FAO con tornelli d’oro e la mensa più buona della Capitale.
L’Alpheus e gli artisti gitani, il grande concerto organizzato dai sindacati, i manifesti di lotta politica, la Sapienza e il Capodanno con la testa piena di The Bends e un brindisi con i barboni dell’est.
Quelle immagini sono diventate dipinti, sketch, memoria ma non posso credere di averti vissuta tanto e intensamente, è ora di riprendere le monete da Fontana di Trevi.

domenica, settembre 27, 2009

Nulla, non fa nulla.

Le casse vuote di questi ragazzi prendono la mia attenzione, casse di legno attraversate dagli stili inviati dagli abili distributori.
Disumano ma così da sempre, nella legge di natura che punisce chi tardi l’ascolta. Scoprire la fragilità dei tuoi modelli e dei tuoi educatori, scoprire l’unica verità: i tuoi simili sono carnivori per nascita, senza alcuna differenza.
Poi le leggi umane, le religioni, le buone maniere e il piccolo mondo popolato da genitori, quartiere e scuola. Scoprire la vita significa andare oltre, conoscere il male.
La felicità ha una sola regola: partorire da adolescenti, senza invecchiare oltre. Ripopolare le fila di carnivori meno spietati perché legati a noi dal sangue, un unico casato di padri e figli che sono amici, lavoratori e compagni. E’ più difficile azzannare il sangue ed è più semplice proteggersi nella comunità familiare fatta per applicare le leggi umane solo nei propri confini e tutelare i propri interessi.
E’ la mia prima soluzione se vivo lontano da affetti privo di discendenza a scacciare i denti da braccia e gambe nell’insostenibile degenza dello spirito ricco di nullità esistenziale.

domenica, luglio 19, 2009

Le strade in estate ardono


Sono così vicino a Dio da sentirne la saliva.
La lebbra dell’estate è arrivata fino alle caviglie, lenta e solenne ha tracimato le rive azzannando veloce le piccole case. E’ piovuta così sotto l’uscio cogliendomi impreparato. Siamo rimasti uniti a lottare nel piacere, o almeno nel pensiero, di issare in croce la selvaggina più carnosa.
Il caldo ha chiuso le finestre della gente migrata e di notte le apre per rinfrescarne la pelle ferita; diventa rumoroso il sonno legato alle voci dei nomadi che non seguono il tempo e le ore del giorno. Le musiche vive dei popoli stranieri sprigionano il profumo di antico e di preziosa ripetizione dei riti festivi, delle stagioni.
Lavoriamo insieme per sopravvivere e ravvivare le memorie trasmesse dai nostri genitori, abbiamo creato la nostra vita distanti dal terreno pestato dai piccoli piedi, oltre quell’orizzonte cercato con occhi di sogno, oltre il confine dei monti e del mare che segnava la nostra isola.
Il berretto bianco del capitano è piccolo, riposto sulla calandra di seta, dondola all’andare del battello, tutti partecipano al lavoro del giorno e, i più audaci, fissano ancora i confini oltre la proiezione delle mani raspose portate sulla fronte per acuire l’orizzonte.
Così ognuno partecipa al movimento di questo barcone vorace e immenso che porta il peso delle case d’oro costruite dai vascellieri e delle donne gravide possedute da chissà chi e lasciate ad ingrassare nel loro peso che diventerà, al parto, un marinaio o una Papessa.
Tutto sembra essere una porzione di mondo in movimento, lento nella breccia e implacabile per chi vi abita. Avanziamo allora fino alle terre di Dio per scoprire il senso di questo moto incessante ma debole, al quale alcuni uomini partecipano in modo radicale, sacrificandosi.
Se incontrassi il nostro Dio lo bacerei per ringraziarlo di questa vita, dell’amore e delle parole suggerite per esprimere poeticamente i pensieri più intensi e sarebbe bello scoprire una sua predisposizione femminile all’arte, alla sensibilità e ai sogni.
Navighiamo insieme fino a mischiare le nostre bocche e profumare la pelle unta dal sole.

sabato, maggio 16, 2009

Il silenzio è più semplice


Ricominciare, con parole semplici. Eravamo rimasti qui, nel mondo, in questo tempo. Perso il taccuino dalla tasca troviamo cambiati i nostri corpi fasciati dal pensiero.
Dov'è stato il corpo mentre la testa lo usava per infinite traversate di ambizione e lussuria?
Il corpo invecchiava nella sua dimensione, il suo essere schiavo danzava minacciato dal pensiero. Si può solo piangere se il ricordo si fa impreciso, se i nomi sono obliati, se il tempo trascorso ha significato per pochi attimi nei suoi pochi attimi. Quella capacità di scoprirsi, di scoprire come funzioni la vita, la capacità di essere sorpresi in noi è persa, non parliamo, segnati dall'imprecisa paura di aver capito tutto.
Le fasi della scoperta riempiono di eccitazione e forza sul nuovo per l'avvenire, poi - fermo nel tempo - ti unisci ad altri corpi affannati e silenti che pensano insieme e che, impermeabili, custodiscono il proprio segreto.
Nessuna lotta e niente sbadigli per noi che fissiamo gli occhi nel vuoto vibrante delle iridi, serriamo le bocche nel silenzio e cerchiamo di proteggere i nostri pensieri. Un abbraccio morbido.
Corpi affaticati che non capiscono più le canzoni e le carezze, avanzano consumandosi, avanzano privi di sogni e di stupore sul tramonto del giorno fatto.

domenica, marzo 22, 2009

Il dizionario delle parole smarrite (parte 2)

Posse, Essere, borbottio, essudato, nomenclatura, incidenza, amen, policlinico, convolvolo, adunata, ronda(?), adultità, rinuncia, Frà Cristoforo, cassata, corbezzolo, satollo, stima, ovvero, amore, clausura, preordinazione, luce, peer no peer, questua, ulivo, paradiso, previdenza, ceramica, paternità, umidore, bisaccia, giornalismo, campagna, comparazione, massello, merito, tempio, oppio, residuale, pari, dinosauro, Los Locos, niente, suppurazione, Andrea Ra, Venezia, laicità, freno, sessualità, comandamento, mutismo, cenere, deretano, solidità, tipico, zaino, no logo, cin cin, fragola, legge, patrimonio, repubblica.

domenica, febbraio 22, 2009

Il dizionario delle parole smarrite (parte 1)

Onorabilità, pudore, sacerdozio, grunge, dedizione, politica, maturazione, diploma, preside, abat-jour, piazza, illibatezza, grazie, realtà, profusione, meringa, sibarita, confucianesimo, lealtà, apotropaico, grugno, salsedine, orco, bilirubina, artigianato, eleganza, ristrettezza, ritualistico, restituzione, obolo, reiterare, bucranio, necropoli, fiducia, frugale, madonna, napalm, babbo, bocchino, scranna, rastrello, mini, orto, caducità, essere, Peloponneso, mare, patriarca, ubbidienza, monogamia, secchezza, grammatica, tipicità, poetica, comunismo, Nibbio, pane, rimorso, silenzio, partecipazione, mente, verità, piacere, prospettiva, chiglia, giudizio, proposizione, miele, partecipazione, incanto, preghiera, riconoscenza, sogno, eppure, sanità, pigna, avo, curia, sogno, foca, bisca, ritrovo, acredine, sicurezza, ascolto.

domenica, febbraio 08, 2009

Il dolore del ritorno

La nostalgia è una forma di tristezza per qualcosa collocato oltre, distante nello spazio e nel tempo. Nella prospettiva della contemporaneità osservare un completo asservimento al “già trascorso” mi rende profondamente triste.
Parlo dei social networks basati sul recupero di vecchie figure di una vita trascorsa (ex, amici, compagni di scuola, abitanti del rione) e sulla curiosità cattiva per il loro vissuto. Pagine da esplorare con la malsana speranza di vedere negli altri “qualcuno che sta peggio”.
Parlo del crescente numero di fans della ricerca di cartoons, musiche e filmati della bella età d’Italia. Un tuffo generazionale, di coloro nati nel settimo decennio del secolo scorso, nella bucolica riconsiderazione di quei consumi e di quel progresso che li avrebbe resi prima universitari, figli di gente onesta e proba, e poi orfani in un orrendo contenitore depressivo: il nuovo mondo.
Un mondo incomprensibile che ha disatteso le loro aspettative. Quindi la sola soluzione, democratica e potente: il web. Ritrovarsi, pensare vecchiamente non recuperando - in senso antropologico - i prodotti culturali del passato ma “nostalgicamente”.
L’effetto nostalgia ha invaso ogni settore entrando nelle singole case, nelle case dei single e nelle scarne famiglie del terzo millennio. Un irretimento culturale, un non plus ultra di una società incapace di programmare un futuro, di mantenere la fiducia sul mondo e di sperare in meglio. Allora non resta altro che rimpiangere e dire ”io ci sono”, una piccola affermazione virtuale di fondamentale importanza. Se ci togliessero anche questo noi “non saremmo”. Incrocio le dita nel desiderio di scorgere nelle schede “info” dei profili personali attività d’impresa e sociali, impegno alla vita e slancio d’amore per un mondo sanguinante bisognoso di cure e di strenua capacità d’azione.

domenica, febbraio 01, 2009

Dov’è finito il dizionario della lingua italiana?


"Non so davvero se fra cinque anni stamperemo ancora il Times e volete sapere una cosa? Neanche me ne importa" - ha detto l'editore del NYT qualche tempo fa. C'è internet e la transizione dalla carta alla pagina web è già in atto.
Avevo messo da parte le considerazioni sull'argomento quando, proprio ieri, cercando il significato di una certa parola, noto un nuovo messaggio sulla pagina del dizionario web:
"Molti ci scrivono ponendo questa domanda. Il dizionario della lingua italiana "xxxxxxx", uscito di catalogo nella sua forma cartacea, è sempre consultabile online, un collegamento alla fine di ogni lemma permette la navigazione da e per il presente dizionario sinonimico".
Ed è proprio così, il dizionario non verrà più stampato e, per quanto non ne sentissi l'esigenza, non potrò mai acquistarne una copia reale. E' davvero un passaggio epocale... penso all'ultima lettura del significato di un lemma su un vocabolario di carta e... niente... troppo tempo fa. L'universo di carta contenuto in un mattone stampato non merita più di essere utilizzato, non ha pubblico, è stato licenziato dal reale per diventare un foglio dati virtuale. Un foglio che non può essere sottolineato nè scarabocchiato da annotazioni. Il fascino della carta e del suo profumo sembra avvicinarsi al vinile e al vintage-glamour per collezionisti e romantici gonfi di nostalgia.
Eppure le considerazioni non si esauriscono qui, penso che il dizionario cambi così in fretta e che non abbia più confini atti a racchiuderlo perchè non si può più parlare di francesismi o di prestiti linguistici: la lingua è diventata davvero più complessa rispetto al passato.
Ma questa riflessione positiva si insanguina se penso al mancato consumo linguistico e all'inutilità, se non per gli operatori del settore, di consultare il dizionario italiano. Pochi usano ancora questo mezzo démodé e pochi dubitano su possibili trascrizioni o significati delle parole. Continuo la mia ricerca, sembra una parolaccia, digito "misoneismo" e attendo il risultato. Una lingua senza confini ha bisogno di una curiosità altrettanto sconfinata per essere posseduta e utilizzata con forza.

domenica, gennaio 18, 2009

Dimmi chi era Demetrio Stratos


Ricorrono i trenta anni dalla scomparsa di Demetrio Stratos e molti ragazzi non ricordano neppure chi sia. La nostra nazione ha memoria corta, diceva De Andrè, e pure quest’anno ricorre il decennale dalla sua scomparsa.
In questo secondo caso i media hanno dedicato, giustamente, trasmissioni speciali ed eventi commemorativi e il tam tam dell’attivismo spontaneo degli innamorati del poeta genovese ha invaso la nazione rendendomi fiero delle emozioni sempre provate grazie a quelle musiche e a quei versi.
Ma fra vent’anni sapremo dare giusta memoria a De Andrè? Avremo saputo tramandare la cultura di quel periodo, del suo impegno, la sua storia tout court?
Sono scettico e voglio sbagliarmi perché sarebbe tremendo, nella confusione dei dati e nella rapidità del consumo, perdere la memoria di un’epoca e la sintesi di alcune esistenze così preziose. Oggi si conosce tanto e non si approfondisce nulla, dice qualcuno, e nessuno ha voglia di tristezza, di strizzarsi, di aggiungere riflessioni all’incertezza dei tempi. Spero trionfi la volontà di scoprire e riscoprire il bello, il ricercato, la poesia e –soprattutto- mi auguro che cali la soglia di presunzione. Quella moda, cioè, che fa di ognuno una star e che priva i poeti del pubblico e gli illuminati dell’ascolto.
La curiosità mai paga e il riconoscimento dell’altrui talento sembrano essere la speranza di un nuovo livellamento culturale.
Demetrio sognava una musica diversa e, dai Ribelli al progressive degli AREA, voleva coagulare diversi tipi di esperienze: jazz, pop, musica mediterranea e musica contemporanea elettronica. Voleva abolire le differenze che ci sono fra musica e vita attraverso gli stimoli provenienti direttamente dalla realtà e dalla strada, chiaramente.
Questi sono esempi di virtù, talento, ispirazione e forma.